“Da Cindy Sherman a Francesco Vezzoli. 80 artisti contemporanei” a Palazzo Reale di Milano, 7 marzo – 4 maggio 2025
Prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia con la collaborazione della Fondazione Giuseppe Iannaccone, la mostra – attraverso 150 opere di 80 artisti internazionali – è un grande viaggio nell’arte contemporanea.
Dal 7 marzo al 4 maggio 2025, Palazzo Reale di Milano ospita per la prima volta al mondo la mostra “DA CINDY SHERMAN A FRANCESCO VEZZOLI. 80 ARTISTI CONTEMPORANEI”, con 150 opere di 80 grandi artisti contemporanei di tutto il mondo.
Promossa da Comune di Milano – Cultura, da Palazzo Reale e dalla Fondazione Giuseppe Iannaccone, con la produzione esecutiva di Arthemisia, la mostra è a cura di Daniele Fenaroli con la consulenza scientifica di Vincenzo de Bellis, e rappresenta un’occasione unica per esplorare i temi della contemporaneità attraverso il punto di vista degli artisti tra i più noti a livello internazionale.
Allestita in 11 sale, poste al piano terra di Palazzo Reale, l’esposizione dedica lo spazio in apertura a Cindy Sherman, artista emblematica, i cui 6 lavori aprono un’immediata riflessione sull’identità femminile, sul corpo e la sua libera disponibilità e ci introducono in un percorso i cui temi cruciali – dall’identità di genere a quelle legate alla cultura o alle tradizioni di appartenenza – sono indagati e rappresentati secondo la sensibilità di ogni artista presente.
A seguire artisti come Nan Goldin, Mattew Barney e Kiki Smith, Francis Alys, Elizabeth Peyton, Francesco Vezzoli e Dana Schutz, fino a Jennifer Packer e Hayv Kahraman, e molti altri.
L’insieme delle opere esposte evoca all’interno di ogni sala un motivo, una tendenza o un tema centrale nella produzione artistica contemporanea: dalla riflessione sul corpo, all’identità di genere e all’orientamento sessuale, ai diritti civili e ad ogni qualsivoglia ricerca di libertà, a temi quali la solitudine, l’introspezione, l’indagine sulle dinamiche di gruppo e di società, lo sfaldamento degli archetipi culturali, fino ad aprirsi sul terreno che fa collidere – ora creando aperture ora chiusure – il mondo naturale con quello artificiale, spesso, frutto dell’uomo contemporaneo.
“La mostra invita i visitatori a intraprendere un viaggio attraverso le molteplici espressioni dell’arte contemporanea, capace di interrogare la nostra società e il nostro tempo con sguardi sempre nuovi – dichiara l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi –. Le opere in esposizione esplorano tematiche cruciali come l’identità, il corpo, la memoria collettiva e il rapporto tra realtà e immaginario, restituendo un panorama artistico che riflette e interpreta la complessità del presente. Grazie alla straordinaria selezione di opere e artisti invitati, Palazzo Reale si conferma luogo di confronto e scoperta, arricchendo il programma della Milano Art Week con questo nuovo progetto.”
Questi temi e motivi che si rincorrono costantemente all’interno del percorso espositivo, sono tenuti insieme dal duplice registro reale-immaginario che attraversa tutta la mostra: un viaggio tra sogno e realtà in cui l’allegoria, la mitologia e la leggenda da una parte e la storia, la politica e la società dall’altra si confrontano e intrecciano continuamente.
La mostra rappresenta uno sguardo sulla ricerca artistica del recente passato e del presente, ed è anche un’occasione per riflettere sull’importanza del collezionismo privato nella storia dell’arte.
“È meraviglioso guardare la storia dell’arte e vedere – dichiara Giuseppe Iannaccone, Presidente della Fondazione Giuseppe Iannaccone – come gli artisti abbiano sempre esplorato i sentimenti, le emozioni, i piaceri e i tormenti degli esseri umani. Un’epoca segue l’altra, gli artisti si adattano ai fattori sociali ed economici della scena mutevole, inventando nuove forme di poesia; ma il cuore umano resta lo stesso e riesco a vedere un’essenza comune, una componente poetica condivisa, in ogni periodo dell’arte.”
La mostra, parte del programma della edizione 2025 di Milano Art Week, vede come sponsor Deutsche Bank, Spada Partners e Atitech; come sponsor tecnico Open Care – Servizi per l’arte, ARTE Generali – Agenzia Milano Teodorico, Tenuta Sarno 1860, Donnachiara – Montefalcione e Petilia – Altavilla Irpina; come media partner IGP Decaux e come mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale.
Catalogo edito da Allemandi.
Data la forte valenza sociale per i temi trattati quali i diritti fondamentali, la parità di genere, la non discriminazione e l’inclusione sociale, la mostra ha ottenuto per la cerimonia di apertura del 6 marzo l’alto patrocinio del Parlamento europeo.
LA MOSTRA
Ognuna delle undici sezioni di cui si compone la mostra racconta una storia unica: ogni stanza è come la tappa di un viaggio che conduce il visitatore attraverso le molteplici sfaccettature dell’arte contemporanea, mettendo in luce connessioni inaspettate, tra visioni e prospettive diverse, esplorando allo stesso tempo tematiche centrali come la riflessione sul corpo, l’identità di genere, il multiculturalismo, il rapporto tra innovazione e tradizione.
Questi temi si intrecciano costantemente all’interno del percorso espositivo, costituiscono un viaggio tra sogno e realtà in cui l’allegoria, la mitologia, la leggenda da una parte, e la storia, la politica, la società dall’altra, si confrontano continuamente offrendo una visione molteplice della condizione umana. Ogni opera diventa così il tassello di un mosaico più ampio, un contributo a un dialogo continuo tra passato e presente, tra il particolare e l’universale.
L’esposizione è accompagnata da una installazione sonora per pianoforte a parete, synth e samples, dal titolo “Possiamo andare da un’altra parte?” a cura di Dario Mangiaracina (La Rappresentante Di Lista) che ha commentato: “Questa lunga ballata è un lavoro sulla memoria, sul disappunto e sulla sua guarigione dal malumore. È pensata perché arrivi da lontano, dall’altra stanza, dalla strada, da un telefono. Ognuno di noi raccoglie memorie audio, le mie sono parole, campanelli e percussioni. Come un arpeggio, la memoria torna e si trasforma. Dove va dipende da noi. Le registrazioni sono avvenute tra Palermo, Roma, Parigi, Londra e Milano tra il 2021 e il 2025”.
La mostra si apre con una sala monografica dedicata a Cindy Sherman nella quale vengono anticipati tutti i temi dell’esposizione, come ad esempio l’indagine sul corpo, l’idea di mascheramento, la riflessione sull’identità attraverso l’uso del ritratto e dell’autoritratto, il rapporto tra reale e artificiale fino alla decostruzione degli stereotipi di genere.
Le 6 opere qui esposte appartengono ad alcune delle serie più iconiche dell’artista e offrono una panoramica ad ampio spettro del suo lavoro: gli Untitled Film Stills degli anni Settanta, fotografie in bianco e nero in cui l’artista interpreta personaggi diversi, ispirati ai ruoli femminili dei film degli anni Cinquanta e Sessanta; Untitled #130 (1983) dalla serie “Fashion” in cui esplora i cliché della bellezza femminile nelle pubblicità di moda; Untitled #555 (2010/2012) dalla serie dei “Clown” in cui il trucco eccessivo, i colori accesi e gli sfondi psichedelici amplificano quel senso di alienazione e disagio che la figura del clown, divertente e inquietante allo stesso tempo, può suscitare.
Questa sala introduce alla sezione successiva che presenta alcuni dei lavori più emblematici di Francesco Vezzoli, Nan Goldin, Lisetta Carmi, Lisa Yuskavage, Piotr Uklanski, e Grayson Perry, opere che si confrontano in un dialogo articolato sul corpo, sull’identità, la trasformazione e la rappresentazione del sé.
Francesco Vezzoli gioca con l’immagine pubblica e la sua decostruzione. L’amore: Anna Magnani loved Roberto Rossellini (2002), Suddenly Last Summer (2006) e La Signora Bruschino (2006) sono esempi perfetti di una ricerca artistica che attinge tanto alla storia dell’arte quanto al modo del cinema, della televisione, della moda e della politica.
All’ironia raffinata di Vezzoli fa da contraltare la cruda intimità delle fotografie di Nan Goldin che catturano la vulnerabilità e la bellezza del quotidiano, creando un ponte con la vita vissuta.
Lisa Yuskavage, con le sue figure femminili sospese tra il sublime e il grottesco, sfida le nozioni tradizionali di bellezza, mentre Piotr Uklanski, con Untitled (Mary Emma Jones as Proud Maisie) del 2020, restituisce a donne come Mary Emma Jones – musa dei Preraffaelliti – la dignità e la forza di eroine e figure formidabili della storia dell’arte, sradicando l’immagine stereotipata della donna come manifestazione del desiderio e della fantasia maschile dei dipinti originali.
Accostando l’uso di un oggetto quotidiano e familiare come il vaso in ceramica con decorazioni inquietanti, ambigue e grottesche che alludono a questioni di identità, classe e genere, l’opera scultorea Tansvestite Party (1993) di Grayson Perry ritrae i disagi e le incongruenze della società contemporanea.
La terza sezione prosegue questa riflessione sul corpo e sull’identità, ma lo fa passando attraverso un genere che da sempre ha affascinato gli artisti, ovvero il ritratto. Nel panorama contemporaneo, il ritratto continua a essere un mezzo privilegiato per riflettere sull’identità fluida e sulla costruzione del sé in una società sempre più frammentata. Qui vari artisti offrono una diversità di approcci al ritratto come mezzo di indagine e come strumento critico per interrogare la condizione umana.
Francesco Gennari ha dedicato tutta la vita all’analisi di sé stesso. Tornando costantemente sull’autoritratto, l’artista parte sempre da un elemento della sua quotidianità per elevarlo a una dimensione universale e metafisica. Negli autoritratti in mostra, il colore del suo maglione ad esempio – ora giallo, ora rosso, o azzurro – diventa un’eclissi di sole (Autoritratto come Eclissi di Sole, 2010), un tramonto (Autoritratto come tramonto triangolare, 2017) o un’immagine dell’universo (Autoritratto come Universo 2009).
Elizabeth Peyton e Paulina Olowska esplorano l’intimità e la personalità dei loro soggetti: Peyton, in opere come Fred Hughes in Paris (1994) e Jonathan (2004), cattura la vulnerabilità emotiva dei suoi soggetti, e Olowska, con lavori come Chess Player 1 (2006), intreccia elementi della cultura pop e della storia dell’arte per analizzare l’identità femminile.
Al contrario, John Currin e Michaël Borremans introducono nei loro ritratti una tensione e un’ambiguità latente. Currin, in opere come Untitled (1995) e Anita Joy (2001), manipola l’iconografia classica per creare immagini provocatorie, e Borremans, in The Veils (2001), The Resemblance (2006) e The Measure II (2007), costruisce scenari i cui protagonisti trasmettono un senso di inquietudine. Con Victor Man, l’indagine sull’identità si fa più malinconica: “Untitled” (2011), con la sua estetica contemplativa, trasmette un senso di silenzio e intimità.
Nelle foto di piccolo formato, La vertigine della signora Emilia (1992-2019) e Famiglia Metafisica (1990- 2015), Marcello Maloberti porta il ritratto in una dimensione simbolica e performativa, legando l’individuo alla sua comunità e alla storia.
Catherine Opie e Rineke Dijkstra si avvicinano al ritratto con piglio documentaristico. Opie, con opere come Jackson (2004), cattura l’identità in divenire di gruppi sociali marginalizzati, mentre Dijkstra, con lavori come Jalta, Ukraine, July 29, 1993 (1993), si concentra sui momenti di trasformazione nella vita dei suoi soggetti.
Infine, Liu Xiaodong e Juan Muñoz espandono il concetto di ritratto includendo il contesto sociale e politico. In Guardian of Mars (2012), Xiaodong fonde il ritratto con il paesaggio sociale, mentre Pelotaris (Yellow Eyes) (1999) di Muñoz mette in scena l’isolamento e le relazioni interpersonali.
Il confronto tra le opere di questi artisti tesse un racconto collettivo che attraversa il personale e il politico, l’intimo e il sociale, offrendo al visitatore una visione complessa e sfaccettata del volto umano come specchio della nostra epoca e delle sue contraddizioni.
La quarta sala si focalizza sulla rappresentazione e la rivendicazione del corpo.
Toyin Ojih Odutola nelle sue tre opere elabora un racconto che mescola autobiografia, storia e finzione attraverso ritratti in cui la pelle e il corpo diventano mappe su cui si intrecciano storie di appartenenza, complessità e trasformazione, mentre Lynette Yiadom-Boakye dipinge figure immaginarie, invitando lo spettatore a riflettere sull’essenza dell’esperienza umana al di là delle categorie etniche.
Kehinde Wiley e Tyler Mitchell, riscrivono con le loro opere la storia visiva della cultura nera. Wiley reinterpreta il ritratto classico con pose fiere ed eroiche, che elevano i suoi soggetti a simboli di potere e nobiltà, mentre Mitchell propone una visione fresca e ottimistica, che rompe gli schemi di sofferenza e oppressione. Anche Ifeyinwa Joy Chiamonwu nei suoi ritratti iperrealistici, cattura la dignità e la forza dei suoi soggetti e mette in evidenza la bellezza intrinseca di storie, tradizioni e valori della comunità nigeriana.
Nelle composizioni poetiche di Jennifer Packer la figura umana emerge all’interno di uno spazio indefinito che sembra sospeso tra realtà e immaginazione. Il lavoro di Somaya Critchlow nei suoi quadri, tutti Untitled del 2024, si incentra sul nudo femminile. I suoi ritratti che attingono dalla storia dell’arte e dalla cultura pop ci restituiscono un’immagine di donna complessa, audace e disinvolta, umoristica e sensuale al tempo stesso. Infine, Jem Perucchini crea opere tra pittura e scultura che mettono in scena il corpo nero utilizzando simboli e racconti mitologici.
L’intento di questa sala non è solo celebrativo ma anche di confronto con altre opere presenti in mostra che abbracciano la complessità e la pluralità di tradizioni, culture ed esperienze umane diverse.
La sezione successiva rivisita tradizioni diversissime tra loro come quella indiana, africana, irachena, pakistana. In particolare, la rappresentazione del corpo femminile che evoca divinità antiche, diventa un simbolo potente di forza e rinascita.
Wangechi Mutu, ad esempio, con opere come Untitled (2004) e Humming Eye (2007), utilizza la tecnica mista e il collage per creare figure che fondono elementi umani e naturali.
Un altro fattore che caratterizza le opere di questa sala è il dialogo tra decorazione e narrazione. Ne è un esempio Raqib Shaw con opere come Death, Beauty and Justice (2007) in cui con materiali come smalto, glitter e strass crea scenari fantastici.
Il confronto con le culture antiche non è un esercizio di nostalgia, ma un atto di reinterpretazione critica. Ne sono un esempio i lavori di Luigi Ontani, che con opere come Kama Ama Endmiongirodet (1993), utilizzando la fotografia acquerellata a mano e la ceramica policroma crea immagini che oscillano tra il sacro e il profano.
La scultura totemica di Roberto Cuoghi, SS(VIZ)c (2012), si riallaccia alla mitologia assiro-babilonese per riflettere sui legami tra tempo, memoria e trasformazione.
Gli artisti prendono spunto da tradizioni millenarie anche per approfondire temi come le contaminazioni culturali, il post-colonialismo e la diaspora, come Tammy Nguyen, le cui immagini invitano a una riflessione sulla fluidità dei confini culturali, o Hayv Kahraman che affronta la condizione delle donne in diaspora.
Hiba Schahbaz, utilizza gouache, acquerello e foglia d’oro per creare composizioni intime che esplorano la femminilità e la spiritualità attraverso la tradizione orientale, e Imran Qureshi, con Moderate Enlightenment (2007) e Where the Shadows are so Deep (2016), con miniature in stile persiano testimonia l’attualità della violenza.
La sesta sala è dedicata a Kiki Smith, una delle artiste più conosciute nel panorama internazionale dell’arte contemporanea.
L’interesse per il corpo umano è un tema centrale nella sua produzione. Questo interesse si intreccia a un certo punto del suo percorso con il mito, la fiaba e la religione, come nella sua serie dedicata a figure femminili iconiche come la Vergine Maria, Lilith o Eva – in mostra ne è un esempio Eve (2001).
Il lavoro della Smith riflette anche un interesse profondo per il rapporto tra l’essere umano e il mondo naturale. Le sculture in bronzo con animali sono un pilastro della sua produzione: in mostra Woman with Wolf (2003) e Tied to Her Nature (2002) in cui il corpo di una donna sembra intrecciarsi con quello degli animali. Questa serie di sculture si collega ai miti e alle leggende antiche in cui gli animali svolgono un ruolo di guida e protezione.
Le sue carte poi rappresentano uno degli aspetti più lirici e intimi della sua produzione, di cui Forest (2006) è un esempio perfetto. Questi disegni, spesso realizzati con un tratto delicato e preciso, evocano un senso di introspezione e contemplazione, purezza e fragilità, la stessa che ritorna anche nelle piccole statuine bianche in porcellana e gesso come in Sitting and Thinking (2005).
A chiudere il percorso di questa sezione dedicata alla Smith, una grande scultura, Guardian (2005), domina la stanza dando l’impressione di vegliare sullo spazio espositivo.
La sala successiva è uno snodo cruciale nel percorso espositivo. Le opere presenti creano una sensazione di confusione tra sogno e realtà.
È significativo il confronto tra le opere di Tracy Emin e Lisa Yuskavage: i loro personaggi femminili sono ritratti in pose davvero differenti, ma hanno delle similitudini. Tracy Emin con I’ve Got it All (2000) in un autoritratto fotografico si mostra in una posa provocatoria, seduta su un pavimento, con banconote sparse tra le gambe: un’immagine forte che esplora la sessualità, il desiderio e il rapporto ambiguo con il denaro e il potere.
Nei lavori di Lisa Yuskavage il sogno diventa un mezzo per raccontare la sessualità femminile, il desiderio, la bellezza e l’ambiguità. In Big Blonde jerking off (1995) raffigura una figura femminile nuda in un ambiente completamente astratto, la cui natura artificiale è enfatizzata dal tono acceso dello sfondo rosa e suggerisce un’immagine di voyeurismo come sfida alle convenzioni della rappresentazione femminile.
Alla donna svestita, sfrontata e provocatoria di Yuskavage, si contrappone quella di Shadi Ghadirian, completamente nascosta dietro un chador. Like Everyday #11 (2000) e Like Everyday #61 (2000) fanno parte di una serie in cui Ghadirian ritrae donne che indossano dei chador riccamente decorati e colorati, ritratte nel gesto di coprire i loro volti con oggetti domestici, una serie che si ispira alla vita quotidiana delle donne iraniane e alla doppia natura tra tradizione e modernità.
Nella stessa sala, il duo Muntean / Rosenblum presenta Untitled (The Room was a Pool), 2005, olio su tela in cui le persone sono ritratte all’interno di quella che sembra essere la stanza di una casa, con un televisore, una tenda, un divano; una figura sdraiata e completamente nuda al centro della stanza però trasforma quell’ambiente in uno spazio immaginario “troppo reale per essere reale, come i frammenti di un sogno dimenticato” – per citare la frase che corre sulla base dipinto.
Anche Martin Maloney analizza la realtà quotidiana e le atmosfere di fantasia in modo giocoso e colorato. Rehearsal, 1999 è un dipinto che ritrae una band di musicisti mentre provano: persone e situazioni comuni che l’artista reinventa in modo ironico e umoristico. Il lavoro di Katja Seib, infine, diventa un elemento di sintesi: Reality and Dream, come dice il titolo mescola realismo e sogno per suggerire al visitatore una riflessione sulla natura ambigua della percezione, ricordando come il sogno possa contaminare la realtà e viceversa.
A chiudere e anticipare la sala successiva c’è un piccolo dipinto di Francis Alÿs, un uomo di spalle su uno sfondo monocromo, che riappare identico nella sala successiva: si tratta in realtà di un dittico, Untitled (Study for Painting and Punishment) costituito da due immagini uguali che, esposte in due diverse stanze, fanno vivere allo spettatore una sensazione di déjà vu. Il senso di spaesamento provocato da Francis Alÿs è un’introduzione perfetta alla dimensione visionaria della sua pittura e di quella di artisti come Pietro Roccasalva, Andro Wekua, Karen Kilimnik, Giangiacomo Rossetti, HernanmBas e Nicole Eisenman.
Francis Alÿs dialoga con il simbolismo di Pietro Roccasalva, in mostra (Il Traviatore (2012) e con le memorie frammentate di Andro Wekua.
Roccasalva, con i suoi personaggi enigmatici, e Wekua, con le sue figure sospese tra sogno e ricordo, si muovono su un terreno comune, in una dimensione in cui sembrano risuonare echi lontani. I personaggi di Wekua, che nascono da riferimenti autobiografici, ritagli di giornale, foto, libri e cartoline conservate, vengono poi trasformati in “figure”, senza nome e senza storia, come nel caso di Woman (2003) o Livingroom 9:47 pm Sisters (2005), in cui la memoria si perde nella fantasia e viceversa.
Anche nel lavoro di Giangiacomo Rossetti l’elemento autobiografico gioca un ruolo fondamentale: l’artista riproduce la propria immagine o quella di persone a lui vicine che richiamano i maestri del passato costruendo un dialogo tra diverse dimensioni temporali attraverso un processo reimmaginazione.
Le atmosfere evocate da Karen Kilimnik, che aggiungono invece un tocco di fiaba e mistero, nascono da una combinazione di romanticismo e ironia che sembra ritrovarsi anche nel dialogo tra Hernan Bas e Nicole Eisenman.
Il confronto tra Beasley Street (2007) di Eisenman e Ubu Roi (The war march) di Bas rivela i loro differenti approcci nel rappresentare il sogno e l’immaginario. Mentre Bas costruisce atmosfere eleganti e ricche di simboli, Eisenman affronta il tema con uno sguardo più diretto e satirico.
Il percorso espositivo prosegue nella sezione adiacente con una selezione di opere di artisti che riflettono sul rapporto tra uomo e animale. Gli animali, da sempre presenti nell’immaginario artistico, rappresentano simboli potenti, capaci di evocare emozioni, raccontare storie e riflettere sulla condizione umana. Qui la figura animale assume un ruolo centrale, diventando un ponte tra mondi diversi e un soggetto carico di numerosi significati.
L’asino in Senza titolo (asino) del 2003 e il leopardo addormentato di Untitled (leopard) del 2007 di Paola Pivi suscitano un senso di straniamento, che costringe lo spettatore a confrontarsi con la natura selvaggia degli animali e la loro rappresentazione in pose tranquille o surreali. L’opera di Matthew Barney Cremaster 5: Her Giant, 1997- parte del celebre ciclo “Cremaster” – è invece densa di riferimenti culturali e storici e utilizza l’animale come simbolo di forza primordiale e di connessione con un’energia ancestrale.
I dipinti di Lisa Yuskavage e Chloe Wise uniscono invece il riferimento agli animali a quello di figure umane, in composizioni sensuali e provocatorie. In Small Walking the Dog (2009) di Yuskavage, un gesto quotidiano come quello di portare a spasso il cane assume una connotazione erotica e ambigua, mentre Wise in Olivia with duck mask (2023) aggiunge un tocco ironico e ludico. La maschera da anatra indossata dalla figura femminile si trasforma in un elemento surreale che riflette sull’identità e sulla metamorfosi, dialogando all’interno della sala con il dipinto Senza titolo (1993) di Pierpaolo Campanini che utilizza lo stesso animale ma all’interno di una pittura più intima e contemplativa, capace di evocare un senso di mistero e di attesa.
Le opere di Allison Katz riflettono su come viene inteso e rappresentato l’animale come alter ego dell’uomo. Con Cock, Illuminated (2017) Katz esamina la simbologia legata al gallo, mentre in Tra le tue mani (2022) Moretti si rifà alle fiabe, alla cultura popolare e al grottesco per riflettere su temi come la complicità, l’inadeguatezza e l’alienazione da sé stessi. In Avendo sé Stessi Come Unico Punto di Riferimento (2004) Francesco Gennari impiega la figura animale suggerendo l’idea di un’alleanza segreta tra uomo e natura.
Anche Nathalie Djurberg & Hans Berg, con Bear (2011), utilizzano l’animale come mezzo per esplorare desideri, paure e fragilità umane.
L’atmosfera cambia del tutto nella sala contigua, che ospita opere con un approccio fortemente politico e artisti il cui lavoro si contraddistingue per un’attenzione a problematiche sociali tra cui disuguaglianze, ingiustizie, dinamiche di potere e di oppressione.
Le storie qui presentate sono costruite con un linguaggio che esalta la forza del gruppo e la resilienza collettiva. Queste opere mettono in scena non solo la coesione e la solidarietà, ma anche le tensioni e le lotte che emergono all’interno dei gruppi sociali. Di Adrian Paci The Wedding (2007) riflette sulla diaspora, l’identità e la perdita. Anche il lavoro di Marinella Senatore The school of narrative dance: little chaos #2 (2013) ha a che fare con l’idea di comunità. Al contrario, i personaggi ieratici e immobili di Massimo Bartolini affrontano invece il tema della memoria e della scomparsa, con un omaggio a figure marginali e dimenticate. I suoi lavori propongono un dialogo silenzioso tra il passato e il presente, tra il pubblico e il privato, tra il singolo e il collettivo, e My Fourth Homage (2003) diventa un atto di resistenza contro l’oblio, restituendo dignità a storie personali dimenticate.
Public Affairs 1 (2020) di Hannah Quinlan & Rosie Hastings affronta le questioni legate all’identità LGBTQ+ e alla politica dello spazio pubblico. Os Gêmeos, celebre duo brasiliano dallo stile iconico e colorato fortemente radicato nella street art, danno voce alle storie marginali delle periferie urbane, raccontando questioni di classe, razzismo e ingiustizia sociale con Untitled (O Pai, o Mae, o filho, a empregada, a filha de empregada, o cachorro, o passarinho) del 2008. Il gruppo di donne che Iva Lulashi ritrae in Vizio encomiato (2021) affronta invece temi legati al controllo sociale e alla libertà personale, alla politica del desiderio e del corpo, attraverso una pittura sensuale che fonde erotismo e ideologia.
Nella stessa sala, le opere di Fabio Mauri, Regina José Galindo, Norbert Bisky, Shirin Neshat, Zehra Doğan, Andrea Bowers, Bansky si concentrano invece su figure isolate che racchiudono in sé le storie e le sofferenze di intere comunità. José Regina Galindo con Piedra (2013) utilizza la performance e la fotografia per denunciare la violenza di stato e le ingiustizie sociali in Guatemala; nell’opera Sundenbock (2005) dell’artista Norbert Bisky il tema del cannibalismo diviene simbolo di un contesto sociale segnato da traumi collettivi, dove la pittura si trasforma in un campo di battaglia emotivo in cui le figure, spesso immerse in un caos visivo, riflettono l’angoscia e l’ansia di esistenze spezzate, ponendo interrogativi sulla sopravvivenza e la resistenza in condizioni estreme.
Zehra Doğan, Shirin Neshat e Andrea Bowers puntano i riflettori su storie femminili di violenza, sofferenza e coraggio. L’artista curda Zehra Doğan utilizza materiali inusuali, come tappeti, per raccontare storie di oppressione del popolo curdo: il suo Kismet (Fate) del 2020, affronta il tema della donna in contesti di guerra, trasformando l’arte in una testimonianza visiva che sfida il silenzio imposto.
Anche Shirin Neshat indaga le tensioni tra libertà e oppressione, esaminando il ruolo delle donne nel contesto islamico. Le protagoniste delle sue opere, spesso ritratte in ambienti austeri, incarnano la lotta per la libertà e l’autodeterminazione: Speechless (1996) è un ritratto fotografico in cui scritture calligrafiche coprono il volto ed evocano il conflitto tra voce individuale e imposizione culturale. Andrea Bowers documenta e celebra i movimenti di protesta: la sua opera Suffragette as a Puta Feminista (2018), ispirata a una cartolina d’epoca, rivendica la continuità del movimento femminista e denuncia le forme di oppressione di genere.
Fabio Mauri invece decostruisce la divisa fascista per affermare l’idea di natura al di sopra di qualsiasi ideologia. La foto in mostra è tratta dalla celebre performance Natura & Cultura (1974) in cui una ragazza che indossa la divisa fascista si spoglia e si riveste continuamente, inizialmente in modo naturale, poi senza alcun un ordine logico. Mescolando gli indumenti in modo del tutto casuale, la ragazza svuota quella divisa di qualsiasi significato, mentre la sua nudità diventa il simbolo di una natura che resta uguale a sé stessa.
Banksy sovverte la tradizionale immagine della ballerina, sostituendo le sue braccia e gambe con parti di soldatini giocattolo: Ballerina (2005) denuncia la militarizzazione dell’infanzia e le violenze, ormai normali, della società contemporanea.
Al centro della sala, infine, la suggestiva scultura Kiss (2001) di Marc Quinn affronta temi legati all’inclusione, alla diversità e alla rappresentazione del corpo. La scultura in marmo di Carrara ritrae il bacio di una coppia di amanti, uno dei quali privo di arti. Quinn sovverte l’iconografia classica della scultura, ponendo al centro figure che sfidano i canoni tradizionali di bellezza e perfezione fisica. L’opera è un potente manifesto sulla diversità, contro l’esclusione e i pregiudizi, che esalta l’umanità nella sua forma più autentica.
Conclude il percorso della mostra una sala, dove le opere di Laura Owens, Patrizio Di Massimo, Dana Schutz, Margherita Manzelli, Roberto De Pinto e Caleb Hahne Quintana si rifanno tutte a un’unica iconografia: figure distese, reclinate, o addirittura dormienti. In questo spazio, il corpo a riposo diventa il fulcro di una riflessione visiva e concettuale e apre un dialogo sulla vulnerabilità, l’intimità e il tempo sospeso.
Nel dipinto di Laura Owens Untitled (2000) i corpi ritratti nell’intimità del letto, in procinto di addormentarsi, diventano parte di una storia più ampia in cui il confine tra le figure e lo sfondo sembra sfumare. L’artista si appropria della figura distesa di due donne per affermare il diritto universale a vivere l’amore senza imposizioni né i limiti dettati da norme culturali o sociali, aprendo una riflessione sulla possibilità di autodeterminazione affettiva.
Anche Patrizio Di Massimo in Motherboy (Francesca, Claudio & Elia) del 2023 raffigura una scena intima e familiare, dove il corpo disteso diventa anche metafora del desiderio, del sogno, dell’abbandono. Le figure di Di Massimo dialogano all’interno della sala con quelle ritratte da Roberto De Pinto ne La pennica pomeridiana (2002), dove il corpo a riposo diventa anche un elemento di riflessione sulla condizione dell’essere e sul passare del tempo.
Anche Caleb Hahne Quintana esplora la fragilità e la forza del corpo a riposo. In Moths Drink The Tears of Sleeping Birds (Nikkomi) del 2023, la tela enfatizza la dimensione sognante del soggetto, che evoca un senso di pace e riflessione.
Dana Schutz in Reclining Nude (2002) si rifà invece all’iconografia tradizionale del nudo sdraiato e, utilizzando colori audaci e pennellate vigorose, esaspera la postura rilassata del corpo, creando una tensione tra la posa classica e una sua interpretazione grottesca che sfida lo sguardo dello spettatore.
Margherita Manzelli al contrario, adotta un approccio più introspettivo, ritraendo una figura reclinata che emana un senso di malinconia e fragilità. In “S” il corpo femminile sembra intrappolato in uno stato di calma che è al contempo rassicurante e inquietante, evocando un mondo interiore complesso e sfaccettato. Che sia in uno stato di abbandono, meditazione o sonno, il corpo disteso diventa in queste opere lo strumento per esplorare la condizione psicologica e affettiva del soggetto, per riflettere sulla fragilità della vita e dell’essere umano.
ORARIO APERTURA
Lunedì chiuso – Martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica 10:00 – 19:30 – Giovedì 10:00 – 22:30 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Aperture straordinarie
domenica 20 aprile 10:00 – 19:30
lunedì 21 aprile 10:00 – 19:30
venerdì 25 aprile 10:00 – 19:30
giovedì 1° maggio 10:00 – 22:30
(la biglietteria chiude un’ora prima)
BIGLIETTI
Intero € 14,00 – Ridotto € 12,00
Visitatori dai 6 ai 26 anni; visitatori oltre i 65 anni; soci Touring Club con tessera; soci FAI con tessera; possessori di biglietti aderenti all’iniziativa “Lunedì Musei” (Poldi Pezzoli / Museo Teatrale alla Scala); militari; forze dell’ordine non in servizio; insegnanti; possessori Card Arthemisia.
Ridotto convenzione € 10,00
Studenti (età massima 25 anni); persone con disabilità inferiore al 100%; tesserati abbonamento Card Musei Lombardia Milano; Soci Orticola.
Ridotto Speciale € 6,00
Dipendenti Comune di Milano; volontari Servizio Civile presso il Comune di Milano; giornalisti non accreditati.
Ridotto Trenitalia € 10,50
Rivolto a tutti i clienti che siano in possesso di un biglietto Frecciarossa, Frecciargento, Frecciabianca con destinazione Milano e con data antecedente fino a n. 2 giorni l’ingresso alla mostra, il biglietto potrà essere acquistato esclusivamente presso la biglietteria della mostra. Il biglietto consente di saltare la fila.
Omaggio
Minori di 6 anni; 1 accompagnatore per disabile che presenti necessità; persone con disabilità al 100%; 1 accompagnatore o 1 guida per ogni gruppo; 2 accompagnatori per ogni gruppo scolastico; 1 accompagnatore e 1 guida per ogni gruppo FAI o Touring Club; dipendenti della Soprintendenza ai Beni Paesaggistici e Architettonici di Milano; guide turistiche abilitate; tesserati ICOM; componenti Commissione di Vigilanza e Vigili del Fuoco; giornalisti accreditati dall’Ufficio Stampa del Comune e di Arthemisia; possessori coupon omaggio; possessori Vip Card Arthemisia; dipendenti area Polo Mostre Palazzo Reale; titolari della Milano Museo Card.
Biglietto Famiglia
1 o 2 adulti + bambini (da 6 a 14 anni): adulto € 10,00 – bambini € 6,00, gratuito minori di 6 anni
Ridotto Gruppi € 12,00
Gruppi di almeno 15 persone massimo 25 persone guida e/o accompagnatore compresi. Gratuità: 1 accompagnatore o guida
Ridotto Gruppi Touring Club o FAI € 6,00
Gruppi organizzati direttamente dal Touring Club e dal FAI. Gratuità: 1 accompagnatore e 1 guida per gruppo
Ridotto scuole € 6,00
Gruppi di studenti di ogni ordine e grado, massimo 25 persone. Gratuità: 2 accompagnatori per ogni gruppo scolastico
Biglietto Open € 16,00
Consente lʼingresso alla mostra senza necessità di bloccare la data e la fascia oraria
Diritti di prenotazione e prevendita
Gruppi e singoli € 2,00 per persona. Scolaresche e categorie aventi diritto all’ingresso gratuito € 1,00 per persona
VISITE GUIDATE
Gruppi
€ 110,00 visita guidata – € 130,00 visita guidata in lingua straniera
Scuole
€ 80,00 visita guidata – € 100,00 visita guidata in lingua straniera
INFORMAZIONI E PRENOTAZIONI
T. +39 02 892 99 21
Hashtag Ufficiale
#ShermanVezzoliMilano / @palazzorealemilano / @arthemisiaarte
Siti internet
www.arthemisia.it – www.palazzorealemilano.it
DA CINDY SHERMAN A FRANCESCO VEZZOLI. 80 ARTISTI CONTEMPORANEI
PALAZZO REALE
PIAZZA DUOMO, 12 – MILANO
7 MARZO – 4 MAGGIO 2025
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