Covid-19, le difficoltà a seguire le prescrizioni mediche
Stiamo tutti vivendo la condizione di profonda trasformazione della sanità che la pandemia del Covid-19 ha generato, facendo sì che nell’emergenza molte patologie siano purtroppo passate in secondo piano.
Ma il problema della mancata aderenza alla terapia farmacologica è rilevante e crescente, alimentato da diverse cause, tra cui scarsa motivazione da parte del paziente, informazione inadeguata, insorgenza di disturbi, schemi terapeutici troppo complessi e difficilmente gestibili nella quotidianità.
Insomma, parlano chiaro i dati dell’indagine di Fondazione Onda (https://ondaosservatorio.it/it/)
“L’aderenza terapeutica nella popolazione” condotta nel periodo di emergenza sanitaria da Covid-19 e presentati in occasione del IV Congresso Nazionale, che si è svolto – in modalità virtuale – il 29 e 30 Settembre scorso.
Va sottolineato che l’aderenza terapeutica garantisce maggior efficacia e sicurezza del trattamento, minor rischio di complicanze ed eventi avversi, minor rischio di ospedalizzazioni e riduzione della mortalità.
Vediamo cosa dicono i numeri.
Una persona su quattro riferisce di avere difficoltà nel portare avanti la propria terapia in modo continuativo e 3 su 10 dichiarano di aver saltato almeno una somministrazione della terapia nella settimana precedente l’intervista.
Tra le ragioni principali:
la dimenticanza nell’assumere la terapia in modo costante (27%),
la difficoltà a rispettare le regole di assunzione (13%),
la paura degli effetti collaterali (9%),
l’interruzione della terapia quando si sta meglio (9%),
l’assenza di chi aiuta o ricorda la somministrazione (8%),
la svogliatezza (8%).
I dati sono ancora più significativi se si considera che le cure maggiormente assunte dagli intervistati sono quelle somministrate per le patologie oncologiche, assunte dal 38%, e per le malattie cardiovascolari, dal 28%.
Secondo la maggioranza degli intervistati – 8 su 10 – l’emergenza sanitaria da Covid-19 non ha avuto un impatto considerevole sulla facilità nel portare avanti le prescrizioni e il trattamento farmacologico.
Ad indagare il modo in cui gli italiani si rapportano alle indicazioni del proprio medico rispetto alla terapia farmacologica da assumere, le conseguenze legate alla non aderenza e l’impatto dell’emergenza Covid-19 è Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, attraverso un’indagine, condotta dall’Istituto di ricerca Elma Research, su un campione di 558 persone tra uomini e donne con un’età media di 52 anni.
L’indagine è stata presentata in occasione della conferenza stampa del IV Congresso Nazionale di Onda “L’aderenza diagnostica e terapeutica nell’era Covid-19”, che si svolto in modalità virtuale nei giorni scorsi e che ha posto un particolare accento al contributo dell’innovazione tecnologica nell’ambito delle patologie che più si connotano per differenze di genere.
Un approccio terapeutico orientato al genere rappresenta, infatti, un elemento cruciale ai fini dell’appropriatezza terapeutica, dell’efficacia e della sicurezza e dunque dell’aderenza.
“Il problema della mancata aderenza alle terapie farmacologiche – commenta Francesca Merzagora, Presidente Fondazione Onda – è rilevante e crescente ed ha un impatto non solo sulla salute dei pazienti, ma anche in termini di sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale.
È preoccupante leggere nei dati dell’indagine che pazienti in cura con farmaci salvavita non siano aderenti nel 23% dei casi: occorrerebbe promuovere una maggiore sensibilizzazione sui rischi della non aderenza e un maggiore utilizzo di APP (ad oggi in uso solo a 1 paziente su 4) per fare memoria di assumere le terapie con regolarità.”
Del campione intervistato, 9 su 10 ricorrono a farmaci per via orale che assumono una o più volte al giorno in piena autonomia e a domicilio e 1 su 2 assume più di una terapia continuativa.
La regolarità nell’assunzione non impatta in modo marcato sulla loro vita, anche se per il 45% degli intervistati la terapia ha influenzato in qualche modo l’umore, la qualità della vita in generale (39%), la vita famigliare o di coppia (34%) e la vita lavorativa (31%).
Le App o i dispositivi di remind che aiutano a migliorare la continuità terapeutica sono poco usati: solo il 26% li utilizza.
“Circa la metà dei pazienti con depressione maggiore – sostiene Claudio Mencacci, Presidente SINPF – Società Italiana di Neuropsicofarmacologia e Direttore Dipartimento di Neuroscienze e Salute Mentale ASST Fatebenefratelli-Sacco, Milano –
sono non aderenti o scarsamente aderenti alle terapie con antidepressivi.
Ciò comporta una serie di caratteristiche sfavorevoli di decorso e di esito.
La pandemia Covid-19 ha sottolineato l’importanza di mantenere un’aderenza ottimale alle terapie farmacologiche implementando la comunicazione con il paziente attraverso telemedicina e interventi a distanza.
Una corretta informazione sui trattamenti è in grado di migliorarne l’aderenza, inoltre l’alleanza terapeutica con il prescrittore è volta ad aumentare la probabilità di risposta positiva.”
“Se parliamo di aderenza – afferma Raffaella Michieli, Segretaria nazionale SIMG – Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie – dobbiamo sottolineare che non vuol dire solo ‘assunzione della terapia’, ma anche un’assunzione di dosi ad orari corretti. In questo senso la centralità del rapporto medico-paziente attraverso il quale si concorda e si spiega, è la chiave del successo.
Relativamente alle differenze di genere per esempio nella terapia per l’ipertensione, per il maschio un fattore determinante è la disfunzione sessuale (noto effetto collaterale di molti farmaci anti-ipertensivi) mentre nelle donne prevale invece l’importanza dell’insoddisfazione nella comunicazione con il medico prescrittore e la presenza di sintomi depressivi.
Un’ aderenza elevata alla terapia si associa al 38% di riduzione del rischio di eventi CV rispetto a pazienti con bassa aderenza al trattamento antipertensivo.
Un uso non aderente della terapia antipertensiva si associa con un rischio aumentato del 15% e del 28% rispettivamente di IMA e di Ictus cerebrale ischemico.”
Stefania Bortolotti
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