Vivere con il tumore ai tempi del coronavirus
Il timore di dover rinunciare a controlli ed esami, di essere più esposti al rischio di contagio a causa delle terapie, di non ricevere adeguate protezioni all’interno delle strutture sanitarie.
E le preoccupazioni per le incertezze del futuro, legate in particolare alla possibile non continuità delle cure e alla situazione economica e lavorativa.
Con questi sentimenti hanno convissuto e tuttora convivono durante l’emergenza Coronavirus gli oltre 3.500.000 italiani con diagnosi di tumore, secondo il sondaggio online realizzato nell’ambito del progetto “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” (https://www.salutebenedadifendere.it/) e che, grazie al supporto delle 30 Associazioni promotrici, ha coinvolto ben 774 pazienti su tutto il territorio nazionale.
Obiettivo della ricerca far emergere il punto di vista, l’esperienza e le esigenze dei pazienti oncologici e onco-ematologici al tempo della COVID-19 in vista di un percorso di tutela concreto e agevole dopo la fase più acuta dell’emergenza.
«L’idea di promuovere questa ricerca è nata proprio grazie ai tanti pazienti che si sono rivolti a noi durante la prima fase drammatica della pandemia virale, preoccupati e disorientati – dichiara Annamaria Mancuso, Presidente di Salute Donna onlus e Salute Uomo onlus e coordinatrice del progetto – Paradossalmente i pazienti del nord Italia, maggiormente colpito da COVID-19, hanno affermato di aver ricevuto più servizi rispetto a quelli del Meridione dove invece la pandemia ha colpito molto meno.
La criticità più evidente è la mancanza di referenti in grado di gestire dentro i centri di cura oncologici il percorso e l’ascolto dei pazienti.
L’indagine vuole aiutare i decisori politici, attraverso l’analisi dei dati raccolti e la definizione di alcuni punti chiave, a elaborare precise Raccomandazioni indispensabili per non penalizzare la qualità di vita durante la fase 2 di convivenza con il Coronavirus e migliorare, sulla base dei bisogni, la presa in carico della cronicità.»
La preoccupazione maggiore per i pazienti oncologici e onco-ematologici è dover rinunciare a esami e controlli di follow-up (34% delle risposte).
Segue il timore di essere più esposti al rischio di contagio a causa delle terapie (16%) e di non avere l’adeguata protezione in ospedale (15%).
«Uno dei più grandi temi nella gestione della fase 2 è la ripresa, laddove interrotta o in parte rimandata, della gestione e della tutela dei pazienti oncologici – spiega il Viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri – Come è accaduto analogamente per le persone con diabete, malattie cardiovascolari, invalidità fisiche e psichiche, solo per citarne alcune, i pazienti con cancro hanno rischiato di pagare un prezzo altissimo a causa di questa emergenza.
In questi mesi in Italia sono stati riorganizzati drasticamente i percorsi di cura pur cercando di mantenere inalterata la qualità dell’assistenza, ed in alcune regioni si sta già procedendo con servizi di assistenza in telemedicina, oltre alla personalizzazione e alla messa in sicurezza dei percorsi per i pazienti con patologie oncologiche.
I pazienti oncologici sono particolarmente fragili perché hanno un profilo immunologico che li classifica ad elevato rischio di contrarre altre patologie infettive, come appunto il Covid-19.
Ciò che dobbiamo però curare e seguire con il massimo sforzo è la creazione di una policy comune per tutto il territorio nazionale, che è già attiva in diversi casi, e che dobbiamo rafforzare non solo grazie ai centri di eccellenza italiani.
Già diverse settimane fa sono state redatte e pubblicate su Nature Medicine le linee guida per i pazienti oncologici dalla rete Cancer Care Europe, di cui fanno parte anche strutture italiane.
La sfida che abbiamo davanti ci impone di mantenere alto il livello di cura, di dotare e rafforzare la rete territoriale dei medici, ai quali si rivolgono i pazienti perché agevolati da legami di prossimità sul territorio e di contatto; di fornire e implementare i percorsi di telemedicina che soddisfino le necessità diagnostiche per eventuali insorgenze nei percorsi di cura; di affiancare alle terapie anche il supporto dello psico-oncologo per garantire che il paziente riceva il sostegno adeguato.
La medicina, la ricerca e i colleghi medici di ogni specialità, sono chiamati ancora una volta ad un best effort senza precedenti, a cui il Ministero della Salute che rappresento in qualità di Viceministro, offrirà ogni supporto possibile, affinché nessuno sia lasciato indietro.»
A livello nazionale il 36% dei pazienti ha lamentato la sospensione di esami e visite di follow-up.
Un paziente su 5 ha segnalato la sospensione degli esami diagnostici; ma solo un 3% riferisce lo stop delle cure.
Dall’analisi del dato macro-regionale emerge che al Nord, nonostante sia la parte del Paese più colpita dall’emergenza coronavirus, solo il 14% dei pazienti lamenta la sospensione di esami e visite di follow-up mentre al Centro e Sud Italia questa percentuale sale al 40%.
«Nessuno ha sospeso gli esami e i controlli, ma semplicemente tutte le strutture italiane di oncologia hanno riorganizzato in base a delle priorità la disponibilità verso gli ospedali – afferma Filippo de Braud, Direttore Dipartimento di Oncologia ed Ematologia Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano – Noi, come oncologi, abbiamo comunicato che tutto quello che non era urgente e poteva essere posticipato, rappresentava una strategia protettiva nei confronti dei nostri malati per ridurre i rischi di contagio e abbiamo fatto il possibile per tenere gli ospedali meno affollati e dovremo continuare a farlo ancora per parecchi mesi.
Nel momento acuto abbiamo interrotto temporaneamente e rimandato tutte le prestazioni non urgenti.
Ma garantiamo a tutti i malati che queste prestazioni verranno fatte.»
Il rischio maggiore per la propria salute avvertito dai pazienti in questa situazione di emergenza è la condizione di immunodeficienza (47% delle risposte).
Nel 21% delle risposte i pazienti si sentono più esposti al contagio a causa alla mancanza di adeguati percorsi di protezione negli ospedali e nel 18% il rischio maggiormente percepito è il rinvio delle visite di controllo.
«Nella fase di emergenza ci sono state numerose difficoltà e criticità nel riorganizzare e garantire i percorsi ai quali erano abituati i pazienti – dice Giorgina Specchia, Professore Ordinario di Ematologia Università degli Studi Aldo Moro di Bari – Le emergenze assistenziali hanno richiesto in modo repentino una notevole quantità di risorse umane e strumentali per far fronte alla presa in carico dei pazienti sintomatici con infezione da COVID-19.
Non è stato semplice per le Direzioni strategiche degli Ospedali organizzare e sostenere il carico assistenziale con i percorsi in sicurezza, cioè non a rischio di contagio per tutti gli altri pazienti, compresi quelli onco-ematologici.
In questa situazione molti pazienti, per lo più anziani e privi di supporto famigliare, si sono sentiti trascurati o abbandonati.»
Motivo di sollievo nel periodo di lockdown sono stati la famiglia e gli amici per metà del campione.
La quasi totalità dei pazienti hanno avuto come fonte di informazione internet e i canali social, seguiti da stampa e televisione.
Solo un paziente su 10 ha chiesto informazioni allo specialista e un paziente su 5 al medico di famiglia.
Dati peraltro coerenti sull’intero territorio nazionale. Circa un terzo dei rispondenti è preoccupato e sopraffatto dalla mole di informazioni (infodemia) che arrivano ogni giorno sul COVID-19.
Infine, un buon 21% sente la mancanza di un rapporto diretto con il proprio medico curante.
Solo il 3% cita lo psiconcologo come figura di riferimento in questa emergenza.
«L’emergenza sanitaria ha creato una forte limitazione all’accesso ai servizi sanitari per così dire ‘differibili’ come le prestazioni psicologiche, la cui erogazione è stata garantita in molti casi da remoto pur con molte difficoltà organizzative – commenta Angela Piattelli, Vice Presidente SIPO – Società Italiana di Psiconcologia – Le Ordinanze hanno vietato, inoltre, la possibilità di rivolgersi a professionisti non strutturati e in Italia tali cure vengono erogate in larga percentuale proprio da tali figure.
Infine, la condizione di isolamento forzato, la consapevolezza di essere più fragili e più esposti al rischio di contagio del virus, accanto al bisogno prioritario di continuità delle cure, hanno dato priorità assoluta ai bisogni fisiologici e di sicurezza.
La scala di Maslow insegna che i bisogni psicologici emergono solo dopo il soddisfacimento di quelli primari.»
Adesso, nella fase due l’obiettivo è ridisegnare i percorsi assistenziali: certezza delle cure, percorsi dedicati di accesso alle strutture sanitarie e assistenza domiciliare, sono prioritari per la metà del campione.
L’indagine evidenzia alcuni aspetti di cui i decisori politici dovranno tener conto per mettere a punto Raccomandazioni necessarie per accompagnare il paziente oncologico e onco-ematologico cronico lungo un percorso di cure e assistenza personalizzato e che consenta al paziente stesso di proseguire con il piano di presa in carico e cura.
Tre le aree di intervento prioritarie identificati dalle 30 Associazioni dei pazienti promotrici del progetto “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”:
- Attuare percorsi-programmi personalizzati; incentivare l’assistenza territoriale con promozione della telemedicina e telemonitoraggio domiciliare.
- Potenziare e formare la professione di case manager; promuovere sul territorio nazionale programmi di consegna a domicilio dei farmaci e facilitazione delle modalità di pagamento da parte degli utenti/pazienti; agevolare le prenotazioni con il supporto delle farmacie.
- Incentivare la figura e il valore dello psiconcologo, anello di congiunzione tra paziente-famiglia e struttura sanitaria, valorizzandone il ruolo; preparare professionisti della comunicazione; pensare a forme di tutela economica e giuslavorativa per caregiver e familiari.
Insieme all’assistenza vi è anche il tema del rientro al lavoro: secondo le Associazioni, nelle situazioni professionali di alta esposizione al contagio, per alcuni pazienti e caregiver, il rientro alle proprie attività lavorative rappresenta una considerevole difficoltà.
Alla luce di ciò, durante il periodo di convivenza con il virus in Italia, sarebbe opportuno prevedere una estensione temporale delle tutele nel lavoro e la semplificazione della procedura di certificazione del rischio per persone immunodepresse, con malattia oncologica o che stanno facendo terapie salvavita, facendo in modo che sia sufficiente l’attestazione del medico di medicina generale, senza ulteriori aggravi burocratici.
Stefania Bortolotti
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